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I 3 tempi del ristorante – La gestione del tempo nella ristorazione

“Il divario tra clienti soddisfatti e clienti insoddisfatti può far fallire un’azienda”
(Harvard Business Review)

Il cliente si reca al ristorante per soddisfare un proprio bisogno. Al ristorante si vendono emozioni legate a promesse e aspettative. A seconda della propria motivazione d’acquisto, ossia del perché egli decide di consumare pasti fuori casa, il cliente si aspetta di trovare cose diverse.
La clientela d’affari, i turisti, il pranzo di lavoro, una cena tra amici, un evento da festeggiare con la famiglia; ed ancora la clientela occasionale e i consumatori che possiamo definire regolari: quanto può essere diversa l’aspettativa di questi target potenziali?
Ogni cliente che entra al ristorante appartiene ad un segmento di mercato diverso, ha un suo stile di consumo, si abitua rapidamente al valore dello standard e perciò vuole sempre di più perché scattano in lui nuove necessità e bisogni, altrimenti l’insoddisfazione sale.

Il cliente stima a priori il tempo in cui rimarrà all’interno del ristorante. Ha, quindi, una sua percezione del tempo che trascorrerà nel locale. Dall’altro lato c’è chi opera nel ristorante (reparti sala e cucina in primis) e che ha una differente percezione del tempo: cliente e addetto alla ristorazione, due percezioni soggettive che non sempre combaciano.

Poi c’è il tempo reale, quello scandito dall’orologio: un tempo oggettivo, uguale per tutti. Per tutti una giornata di 24 ore, che nessuno potrà mai riuscire ad allungare. Il tempo non aumenta né diminuisce, è un dato di fatto, una risorsa finita: in un giorno 24 ore, 1440 minuti… al ristorante turni con orari fissati e non elastici.
Ma perché l’orologio interiore spesso va ad una velocità diversa rispetto a quello che abbiamo al polso? Perché tutto ci sembra eterno o estremamente volatile?

La giornata che si vive in un ristorante è anche caratterizzata da dispersioni, inefficienze, procedure non sempre esatte, approcci errati al lavoro spesso frutto di obiettivi poco chiari. Una errata gestione del tempo aumenta considerevolmente lo stress di chi vi lavora che inevitabilmente si limita a seguire gli eventi cercando di tamponare le situazioni.

Di contro, una gestione attiva del tempo con operatori che lo affrontano in modo propositivo è basata su di una organizzazione di esso per ottimizzare il lavoro: programmare, scegliere le priorità, ma anche delegare ottimizzando risorse ed energie. Con una gestione oculata del tempo diminuisce il rischio di dispersioni temporali e si hanno positive ripercussioni sull’azione che sarà efficace.
Maggiore è la pianificazione, maggiori sono le probabilità che si raggiunga il risultato, l’alea ha meno probabilità di avverarsi e la possibilità che si verifichino errori diminuisce.

Quando il cliente entra al ristorante ha già fatto la sua scelta e comincia ad emergere il desiderio di ottenere ciò che vuole. Dal momento in cui si siede e decide cosa ordinare si innesca un meccanismo inconsapevole di raggiungimento del traguardo desiderato in breve tempo. Dopo aver letto il menù tutti scegliamo un piatto in base al desiderio che avvertiamo in quel preciso momento di provare determinate sensazioni legate al gusto. Non abbiamo la certezza che quello che abbiamo scelto corrisponda alle

nostre aspettative e di conseguenza emerge sin da subito una sorta di curiosità che accelera la percezione del tempo. Generalmente in questa fase dell’attesa si è inattivi e questa inattività contribuisce ad accelerare la percezione del tempo. Anche il contesto in cui ci troviamo gioca un ruolo fondamentale, in un locale semivuoto l’attesa assume un’intensità molto più forte rispetto ad un locale in cui vi sono altre persone. Un locale molto caotico provoca alla maggior parte delle persone una sensazione di fastidio e di conseguenza il tempo di permanenza deve essere il più limitato possibile. In un locale in cui ci si trova a proprio agio il tempo sembra rallentare.

L’attesa connessa all’erogazione di un qualsiasi servizio, specie un bene esperienziale come una cena, crea differenti reazioni psicologiche, nella maggior parte dei casi negative, influenzate dal momento in cui si verifica il disservizio. Il ristoratore non può prevedere precisamente quando i clienti si presenteranno per richiedere un servizio, ma ridurre l’impatto negativo del ritardo è possibile se è a conoscenza dei fattori che influenzano le reazioni dei consumatori durante l’attesa.

La permanenza del cliente in un ristorante si divide in tre segmenti temporali: la fase “Pre-process” cioè quella dell’arrivo, la fase “In-process” comprendente l’ordinazione e la consumazione e il momento finale detto “Post-process” comprendente il pagamento e l’uscita dal locale.
Quando eventuali ritardi superano le normali attese il cliente si infastidisce.
Studi dimostrano che la reazione è diversa a seconda della fase e che il grado di incertezza sul ritardo e lo stato di necessità del cliente influenzano la valutazione della qualità del servizio. Se il ritardo si presenta nella fase intermedia peserà di meno rispetto alla fase Pre-process. I ritardi che pesano di più sono quelli della prima e della terza fase anche se il momento cruciale della sosta al ristorante è il pasto, cioè la fase intermedia. Il ritardo genera risultanze negative sul cliente tanto più elevate quanto maggiore è l’incertezza della durata del ritardo e quindi maggiore è la percezione negativa della performance del locale. La qualità del servizio sarà giudicata più bassa non nella fase cruciale cioè quella dell’effettivo servizio, ma nei momenti immediatamente prima e dopo. Sembrerebbe un paradosso, ma è il risultato dell’applicazione al ristorante della teoria del campo di Lewin secondo il quale i cambiamenti nelle aspettative influenzano i comportamenti dei soggetti.

I ristoratori devono agire a monte del processo attraverso una pianificazione della prima e terza fase, in quanto è appurato che nella fase del “Core business” il cliente è più disposto a tollerare. Un tempo di attesa incerto sembra durare più a lungo di un tempo di attesa conosciuto e definito e più il servizio ha valore, più i clienti sono disposti ad aspettare.
Al fine di mantenere un alto livello di soddisfazione del cliente, il processo di miglioramento deve essere continuo e sistematico, uno sforzo che coinvolga tutte le funzioni aziendali, a tutti i livelli. Un percorso che alterni azioni di miglioramento e di mantenimento.

Tutti i reparti, e quindi anche la cucina e la sala, due facce della stessa medaglia, necessariamente complementari ed in equilibrio. La sala conosce i tempi della cucina e rende piacevole l’attesa del cliente quando intuisce un ritardo della cucina, gestisce le emergenze con intuizione e tempistiche corrette, minimizza le criticità, raccoglie richieste e lamentele. Cucina e sala, la mente ed il braccio che collaborano per un comune obiettivo: la soddisfazione del cliente.
Due brigate che devono lavorare con empatia, rispetto, sintonia, professionalità, abnegazione e rigida organizzazione. La sala valorizza i piatti della cucina, incarna la filosofia del locale, in un attimo comprende la psicologia del cliente e i suoi gusti. Spesso però sono due mondi a sé.

Il focus non è il tempo in sé, ma la gestione del tempo; una gestione equilibrata e strategica del tempo non è un passo immediato, si impara poco a poco. E questo avviene quando si verifica il passaggio alla consapevolezza del tempo come risorsa.

Ristorazione non fa rima con improvvisazione

Secondo una elaborazione Fipe su dati Istat in Italia ci sono 300.000 imprese di ristorazione con un valore aggiunto attivato dal settore che sfiora i 40 miliardi di euro. In 5 anni sono state costrette a chiudere 50.000 imprese del settore a causa della crisi. Un saldo negativo tra aperture e chiusure, quali le cause?

Non si può prescindere dall’evidenziare una moltiplicazione esponenziale dell’offerta ristorativa: catering, agriturismi, ristorazione commerciale e di intrattenimento, settoriale della salute sono solo alcuni dei trend del settore che più si sono distinti negli ultimi anni.

Nella ristorazione c’è molta, forse troppa, improvvisazione e per lo più in un lavoro che dovrebbe basarsi su principi di etica deontologica ponendo al centro la capacità di fare impresa. L’eccesso di offerta nel settore della somministrazione del cibo ha avuto come conseguenza una ristorazione improvvisata, meno sicura e non controllata.

Il mondo della ristorazione richiede regole chiare, perché la ristorazione non può essere effetto di una mera imitazione. Lo start up e la gestione di un’attività ristorativa richiedono un progetto imprenditoriale impegnativo con regole chiare nel quale occorre investire con oculatezza.

Il cliente concepisce il ristorante come un luogo in cui assaporare emozioni, ma il ristorante è prima di tutto un’impresa. Un’impresa non semplice in quanto vi si manipola il cibo e ciò esige il rispetto di leggi ferree. La conseguenza è che ci vuole una solida pianificazione aziendale, gli scenari che vi si prospettano sono vari e complessi e “farsi male” è facile. La nascita e la buona riuscita di un’attività di ristorazione dipendono da un saccente equilibrio tra gestione imprenditoriale e sensibilità per il gusto.

Quali locali sono trending topic? Senza dubbio quelli che presentano una identità, che sia di immagine o di prodotto, quelli rivolti a soddisfare un’utenza specifica. Il locale ibrido, senza personalità non funziona. Non deve essere per forza un locale complesso e articolato, il locale che funziona è un locale semplice ma che si base su di un prodotto ben identificato e codificato già dalla fase della sua progettazione. Nulla è lasciato al caso, tutto è progettato in ogni singolo aspetto. Quello che si attua nella cucina è frutto di un processo produttivo come quello di un’impresa manifatturiera perché la materia prima si trasforma in gioia per il palato secondo fasi precostituite e progettate sulla carta. Il mondo della ristorazione si è evoluto e non poco, dunque attivare un processo produttivo con logica imprenditoriale basata su di una tecnica di organizzazione industriale non è una scelta, ma una necessità.

La formazione : Investimento e non puro costo

ll mercato della ristorazione è cambiato, in un’economia come quella attuale si incontrano molte difficoltà; la prima strada che l’imprenditore della ristorazione sceglie di percorrere è quella di porre in atto strategie mirate a fidelizzare i consumatori costretti a tagliare su quei consumi considerati relativamente superflui. Nel momento in cui i problemi sembrano crescere e le vendite presentano la tendenza contraria, solitamente si passa da una strategia di sviluppo a una, che potremmo definire, di difesa incentrata sul contenimento dei costi. Spesso questo comporta tagli a delle risorse che sono invece di primaria importanza. Occorre, invece, reagire con un cambio di prospettiva e puntare sul crearsi un’identità ristorativa propria che è il mezzo migliore per fare la differenza.

E’ da tempo che sono convinto che proprio in momenti come questi la formazione possa svolgere un ruolo chiave per rafforzare e mantenere nel tempo la competitività di qualsiasi impresa e quindi anche di un’impresa che opera nel settore ristorativo. Dedicare risorse alla formazione e sviluppo dimostra la voglia di reagire; investire sulla valorizzazione dei propri punti di forza è una scelta indispensabile per rispondere alla competizione.

Il cliente della ristorazione non è passivo, ma sceglie, richiede un servizio sempre più personalizzato e giudica, è attento agli standard di servizio, alla scelta degli ingredienti e ai menù ed è in possesso di strumenti di divulgazione del suo giudizio molto rapidi. Individuando le aree di miglioramento e lavorando sull’unicità si aprono nuove strade per la ristorazione. Il paradigma di riferimento è quindi da ricercare nell’aumentata professionalità e il percorso più semplice per raggiungerla risiede nel capire le opportunità da sfruttare, valorizzandole in un format fornendo alle risorse umane tutte quelle competenze che servono loro per porlo in atto. Possiamo meglio dire che la formazione ci permette di anticipare il cambiamento in quanto le idee attuate nel presente sono strategie per il futuro.

L’abilità di ri-organizzare

L’organizzazione aziendale non è frutto solo del buon senso dell’imprenditore, esistono dei principi di carattere generale su cui improntare il proprio operare. Qualsiasi azienda è un insieme di fattori strettamente interconnessi che convergono verso obiettivi prestabiliti; è un sistema complesso soprattutto in ambito ristorativo in cui entrano in gioco fattori non sempre prevedibili.
Nella realtà aziendale, anche quella di un’attività ristorativa, non si può prescindere dalla presenza di singoli fattori connessi tra loro attraverso forti relazioni, un sistema eterogeneo di rapporti che costituisce un ricco patrimonio se correttamente gestito ed indirizzato.

Sulla base della mia esperienza, ho elaborato un modello basandomi sull’analisi di molteplici situazioni aziendali, così diverse tra loro, ma allo stesso tempo così simili.
Siamo tutti concordi nell’affermare che un’ottima organizzazione aziendale sia alla base del successo di un’impresa. Ma quali sono gli elementi centrali dell’organizzazione aziendale e nella fattispecie di un’attività ristorativa? Il successo dell’organizzazione significa fare in modo che tutte le azioni siano coordinate tra loro attraverso dei processi in modo da orientare i risultati verso gli obiettivi prefissati.

Il modello si basa sulla compresenza di tre fattori chiave: lo spazio, il tempo e le risorse. La sinergia di questi tre fattori si sostanzia nel concetto di ambiente di lavoro, un fattore molto importante con il quale intendiamo l’insieme delle condizioni di produzione nelle quali la forza lavoro e il capitale originano un processo produttivo e si trasformano in prodotto e di conseguenza in profitto.

Rappresentiamo la struttura dell’ambiente di lavoro facendo ricorso ad una similitudine con un ipotetico cubo, un solido che tutti sappiamo avere le tre dimensioni

congruenti. Ognuno dei fattori sopracitati è rappresentato da una dimensione del cubo; analizziamoli in breve nelle loro peculiarità.
Lo spazio è una variabile modificabile, che si può contrarre ed espandere. Lo spazio in un ristorante si può ridimensionare attraverso accorgimenti strutturali o incrementare ergonomizzando le aree. Anche le risorse si possono adattare alle esigenze ma il tempo non si può né espandere né contrarre, lo possiamo solo gestire. La gestione del tempo ha una grande influenza sulla produttività e rappresenta un aspetto fondamentale dell’organizzazione dell’attività.

Questi tre fattori interagiscono nelle aree funzionali interne all’azienda intese come attività raggruppate in base al criterio dell’omogeneità delle competenze; anche in un contesto F&B si individuano le aree amministrazione e finanza, commerciale (marketing e vendite), risorse umane, gestione operativa ripartita in front office e back office. Non meno importanti le funzioni di supporto, tra cui la pianificazione e il controllo.
Sono attività molto diverse tra loro per cui è immediato esemplificarli con solidi dalle forme geometriche differenti e dalle dimensioni diverse, in quanto ogni imprenditore assegna ad ogni area un peso ed un’importanza diversa. Ed ecco che abbiamo piramidi, sfere, prismi e così via.

Analizzando graficamente il risultato, siamo coscienti del fatto che figure geometriche diverse non si possano incastrare tra loro perfettamente, i loro spigoli non combaciano e inevitabilmente non si genera convergenza automatica, ma divergenza. Ciò per esprimere il fatto che il peso delle varie funzioni non è controllato e quindi l’imprenditore subisce il prevalere di una funzione sull’altra e non le gestisce come dovrebbe. Questo “caos” è un peso che grava sul risultato economico (figura 1). Il proprietario o il gestore è, quindi, sovraccaricato da una eccessiva pressione che lo comprime e lo porta a subire la situazione.

L’imprenditore però non può non volgere l’azione della sua attività alla ricerca di una sinergia tra le aree aziendali. In senso figurato il ristorante è una macchina, un meccanismo che richiede organizzazione complessa e bilanciata: tutto deve essere sincronizzato come un orologio per ottenere un risultato confacente alle aspettative.
Se l’imprenditore ha la reale percezione delle dimensioni del suo business capisce anche come dimensionare le macro-aree in cui è articolata la sua azienda e comincia a cercare di mettere un po’ di ordine, a bilanciare il peso delle stesse. Di conseguenza a questo diverso modo di intendere e di procedere, l’imprenditore cerca di dare alle aree un valore uniforme. Ed ecco che tutti i solidi differenti di prima sono sostituiti da sfere (figura 2). Perché la sfera? Perché è quel solido che si associa al concetto di movimento, di fluidità. Graficamente se inseriamo delle sfere nel precedente cubo si genera meno disordine, ma tra esse continua ad esserci dello spazio inutilizzato, dei buchi dove si sprecano delle risorse: patrimonio inattivo che comunque genera un costo che non si sostanzia in vantaggio. Questo perché le diverse aree dell’azienda, anche se hanno lo stesso peso, sono ancora considerati compartimenti stagni, non c’è comunicazione e questo rende impossibile la sinergia.

E’ un errore prendere singolarmente i 3 fattori (spazio, tempo e risorse) come entità distinte e non interferenti, di queste entità occorre equilibrare il “peso” in modo tale da creare armonia, incastro.
Etimologicamente sinergia indica una relazione tra due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente. Ecco perché la sinergia tra i tre fattori indicati è funzionale alla produttività, ne segue che lavorare in un ambiente organizzato ed equilibrato permetta di ottenere performance più efficaci ed efficienti.

Ma come ottenere questi risultati? Ci viene in aiuto l’organizzazione che si pone al servizio del business.

La ristorazione è un sistema complesso da gestire, nessun comparto è fine a se stesso anche perché il settore della ristorazione è privo di economie di scala, aumentare la produzione non è sempre una strategia possibile. Per riuscire nell’arduo compito di applicare delle economie di scala nella ristorazione occorre ottimizzare gli aspetti organizzativi, tecnici e della gestione finanziaria-amministrativa e delle risorse umane. Conoscendo le dimensioni della scatola o cubo, quindi dell’ambiente di lavoro, è possibile capire quali oggetti, cioè su quali aree dell’azienda, puntare per migliorare le performance dell’organizzazione del ristorante o dell’impresa F&B. La best solution esiste ed è alla portata del titolare dell’attività ristorativa. Solo calibrando le aree si realizza l’allocazione ottimale delle risorse. Le sfere diventano cubi che si incastrano perfettamente tra di loro e l’impresa non è più schiacciata dal peso della disorganizzazione, ma riesce a gestirla in modo ottimale (figura 3). Tutti possono arrivare al raggiungimento dell’optimum? La risposta che viene spontanea è sì, ma occorre considerare il modo in cui si persegue il risultato e che un apporto esterno da parte di un professionista di adeguata esperienza riduce il rischio connesso ad una scelta errata.

I “Tempi moderni” della ristorazione

La ristorazione è un mercato differenziato, ma nella gestione di un’attività ristorativa l’eccessiva polivalenza paga? A parer mio, che nella ristorazione lavoro da più di trent’anni, diventa troppo impegnativa la ricerca dell’eccessiva poliedricità, ovvero il ristoratore che propone tutto nel suo locale e che sceglie di offrire più prodotti per cercare di attirare più target possibili. Prendendo in prestito un termine dall’informatica, potremmo chiamarlo ristoratore multitasking.

Si potrebbe pensare che un’attività polivalente sia più valorizzante, più umana perché meno monotona e robotizzata. Ma la ristorazione è artigianalità o automatizzazione? Un laboratorio o una fabbrica?

Da un lato esiste la ristorazione veloce che ricicla il dispositivo tradizionale del lavoro nella catena di montaggio. Per analogia, la mente corre subito al modello fast food: un’organizzazione produttiva e di replicazione del prodotto rigida, la meccanizzazione del processo produttivo e la standardizzazione del prodotto servito. Si prescinde dalle capacità e attitudini professionali dell’operatore, dalle competenze del singolo applicando alcuni parametri relativi alla filosofia ONE BEST WAY propria del Taylorismo.
Prima di ogni altra cosa si predilige l’efficienza, in quanto ogni azione produttiva è rigidamente inquadrata in format ben definiti affinché sia eseguita in un determinato tempo e modo più rapidamente possibile. Si pone attenzione alla quantificabilità, in quanto nello sviluppo del format si pone un focus particolare alla velocità del processo, ossia la massima quantità possibile di prodotto in un dato tempo; un prodotto che è prevedibile e articolato spesso in menù tematici al fine di veicolare la scelta dell’utenza e gestirla in tempi brevi. Infine un controllo attuato su tutto il processo produttivo.
Ci si avvale di operatori multi-funzione, fatta eccezione per i controller. Il ciclo produttivo realizzato in questo modello rappresenta un esempio importante di incremento della produttività grazie alla scomposizione delle operazioni in compiti semplici e riproducibili. Il personale è formato per il ruolo che gli compete, una sola attività ed è necessariamente molto più produttivo, riesce infatti ad eseguire fedelmente le istruzioni di protocolli di produzione ottenendo una produzione di massa di articoli standardizzati.

Nel modello di ristorazione fast-food, dunque, il mantra è massima quantità di prodotto nel minor tempo possibile. Ciò viene realizzato attraverso menù ripetitivi e operazioni codificate. Qui è evidente l’importanza della formazione, che permette all’operatore di seguire uno standard creato attraverso un progetto di produzione. Tornando alla normale ristorazione. Questo è un ambito diverso, non è una fabbrica, non basta schiacciare un bottone e far partire gli ingranaggi.

Tuttavia, se in passato la ristorazione tradizionale prevedeva approcci dal carattere un po’ più artigianale, ora occorre applicare anche al settore F&B i parametri di investimento utilizzati negli altri settori economici: organizzazione e razionalizzazione. Essi sono due fattori determinanti nel ridurre al minimo l’incidenza delle variabili e a limitare l’improvvisazione ai caso di reale necessità.

Tornando al quesito iniziale: quale soluzione? Credo fermamente che sia meglio settorializzare la propria proposta, specializzarsi in un settore dell’offerta ristorativa, scegliere un filone, una corrente, una nicchia.
Il mio consiglio è quello di scoprire il punto di forza del proprio locale e valorizzarlo partendo da un’analisi delle esigenze del target di clientela e, da lì, settorializzare l’offerta. Non è possibile eccellere in ogni settore, è necessario specializzarsi in un particolare ambito nel quale diventare esperti e veramente competitivi. Attenzione a non trascurare i dettagli: il cliente non è passivo, ma sceglie.

I menù à la carte sono, nella maggior parte dei casi, sovradimensionati rispetto alle risorse umane, alla tecnologia e alla struttura. Valutiamo l’ingresso della tecnologia nel mondo della ristorazione. Ben venga l’aiuto di strumenti tecnologici, una digitalizzazione che ha lo scopo di agevolare il servizio senza però perdere il rapporto personale con il cliente. Tuttavia, le tecnologie in cucina non risolvono da sole i problemi. L’attrezzatura, anche quella più tecnologica, necessita di personale qualificato. Dove non c’è tecnologia, organizzazione e professionalità, le sorti dell’attività sono inesorabilmente affidate alla buona volontà del singolo. Nella ristorazione ordinaria, tuttavia, cibo ed servizio non sempre si possono automatizzare.

Qual è l’errore che si nasconde dietro l’angolo? Pensare che un singolo aspetto possa essere predominante sugli altri e che sia a sé stante. La ristorazione va considerata nella sua globalità. Tutto ha la sua importanza e nulla deve essere lasciato al caso. E’ un ingranaggio ragionato, complesso e composto da altri ingranaggi non visibili a prima vista e che funzionano in sequenza. Tutto come gli ingranaggi di Charlie Chaplin del film “Tempi moderni”.
Considerando che il ciclo produttivo del ristorante sia un ciclo anomalo, in quanto il tempo della produzione antecedente il servizio è molto risicato, credo sia importante gestire i tempi di servizio e meccanizzare ciò che è possibile per avere più tempo per la cura del dettaglio finale. Se il dettaglio è pianificato e il personale è formato, si ottiene un prodotto costante, se il dettaglio non è pianificato si ottiene altalenanza di risultati e non costanza delle prestazioni, le quali hanno effetti negativi sul business.

Il rischio che si corre è che l’imprenditore intervenga personalmente in tutte le attività del ristorante senza averne conoscenza precisa e rischiando di farsi travolgere dagli eventi, finendo metaforicamente risucchiato dagli ingranaggi che prendono il sopravvento come accade nel film a Charlie Chaplin. Parole d’ordine: formazione e settorializzazione.